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Caro Federico Butteroni, Che Cosa Racconterai ai Tuoi Nipotini?

Federico Butteroni

Lunedì, nella notte di Las Vegas, si è concluso il Main Event delle WSOP 2015, quando anche l'ottavo dei November Nine è caduto per mano del last man standing, Joe McKeehen. Come ben sappiamo, il nostro Federico Butteroni è uscito in 8° posizione, intascando poco meno di 1,1 milioni di dollari - al lordo delle tasse - dopo aver giocato soltanto due mani.

Nelle consuete interviste post-eliminazione, Butteroni ha dichiarato di non aver visto carte: mai una coppia, mai due figure, un solo asso che poi gli è costato comunque caro - il suo AJ, nella mano numero 35, si è scontrato e ha perso contro l'AK dello stesso McKeehen. Niente da dire su questo, ci può assolutamente stare che in una quarantina di mani un giocatore veda quasi solo spazzatura.

Però quella di Butteroni è un'esperienza che per me ha il sapore dell'occasione persa.

Non sono un giocatore di poker professionista, ma un semplice giornalista/osservatore. E lo so, è facile parlare seduti tranquilli in poltrona, mentre un ragazzo che fino all'altro ieri raccoglieva meloni in Australia (sic) si trova a giocare il tavolo finale che tutti gli appassionati di Texas hold'em sognano di raggiungere. Dannazione, la maggior parte di noi non osa neppure sognare più della semplice partecipazione al Main Event delle World Series of Poker.

E so anche che quando le carte non girano… non girano, c'è poco da fare. Poco, appunto. Il fatto è che dal mio punto di vista, Butteroni non ha proprio fatto niente. Niente per evitare di morire di bui come poi gli è effettivamente capitato.

Ha aspettato l'unica - per carità, lo ripeto ancora una volta - mano decente e con quella ha tentato il double up (dopo che con Q-9, nella prima delle due mani da lui giocate, aveva mandato la vasca pre-flop vincendo il piatto uncontested). Ma in quel momento aveva sì e no 5 big blind: tornare a 10 gli avrebbe permesso di respirare per un giro scarso, e poi? Punto e a capo.

È un po' come quando, da giovanotti, ci si innamorava di quella ragazza - magari più grande di noi - che ci sembrava irraggiungibile. Mesi, forse anni passati a fantasticare di un ipotetico incontro, a immaginarsi cosa dire e come comportarsi pur di fare colpo. Poi, per una serie quasi irripetibile di casi e coincidenze, finalmente quell'occasione arriva.

Patrick Chan
Sono Patrick Chan e non mi interessa se mi eliminano alla seconda mano dei November Nine.

E noi ce ne stiamo lì, muti e immobili. Lei ci guarda, magari si aspetta anche che noi le diciamo qualcosa. Ma abbiamo troppa paura: "Se faccio la figura dell'imbranato? Se apro bocca e mi impappino? Se mi ride in faccia? Se mi ignora senza neppure darmi una risposta?". Senza neppure rendercene conto, quel momento passa e con ogni probabilità non tornerà più. E non ci resta che navigare nelle acque tumultuose dei rimpianti.

Federico l'Amatoriale Contro Butteroni il Pro

Se vi diciamo Michiel Brummelhuis, che cosa vi viene in mente? Probabilmente niente, a meno che non siate dei Raymond Babbit in carne ed ossa. Eppure, l'olandese è uno dei November Nine 2013 - chiuse al 7° posto per un premio di 1,2 milioni di dollari. Il punto è che di Michiel Brummelhuis non si ricorda più nessuno, anche se sono passati solo due anni da quel tavolo finale del campionato mondiale di poker.

Federico Butteroni aveva la chance di fare qualcosa di memorabile, ma ha tradito la sua stessa natura. È arrivato al tavolo finale giocando più di pancia che pensando ai range; più di braccio che ragionando sulla fold equity; più d'istinto che calcolando l'expected value. Si è preso dei rischi, ci ha provato, è stato anche fortunato - e chi ha potuto seguire il Main Event a carte scoperte lo sa bene. Ma si è divertito - lo abbiamo visto tutti - e ci ha fatto divertire.

Non mi credete? Date un'occhiata qui:

Mentre Neil Blumenfield - come Butteroni non certo un professionista del poker - giocava in maniera spensierata il final table, godendosi il momento e provando a fare qualcosa di memorabile, Butteroni ha abbozzato un mezzo sorriso soltanto quando con quel Q-9 ha rubato i bui. D'accordo, Blumenfield aveva un stack iniziale intorno ai 50 big blind e dunque poteva permettersi il 95% delle giocate che Federico non poteva, ma la sostanza non cambia.

Federico ha raggiunto il final table delle WSOP 2015 da giocatore amatoriale, ma ha voluto giocarlo come fosse un professionista.

Chiaramente questa è soltanto la mia opinione, l'opinione di chi avrebbe preferito mandare la vasca finanche al buio, ma quando ancora lo stack poteva rappresentare una minaccia per molti degli avversari, invece di aspettare e aspettare e aspettare e poi giocarsi il tutto per tutto (ma quale tutto, poi?), quando ormai i bu(o)i erano già scappati dalla stalla.

La noto solo io la differenza tra il Federico-giocatore-amatoriale-che-vive-un-sogno del primo video, e il Butteroni-professionista-tutto-serio-e-preoccupato tra i November Nine?

"Se Nel Poker Non Esistesse la Fortuna, Vincerei Tutti i Tornei" (Cit. Phil Hellmuth)

So bene che questa mia riflessione attirerà parecchie critiche nei miei confronti. C'è chi obietterà che non si può parlare non conoscendo le mani ricevute da Butteroni e soprattutto chi dirà che i range delle mani da giocare con 15 big blind sono "obbligatori" e che la fold equity è "relativa".

Ma che fine hanno fatto i vecchi concetti del rubare i bui, sfruttare la propria immagine, giocare sulle paure degli avversari? Se il poker fosse tutto range, pot odds e matematica, allora tanto varrebbe sostituire i player con dei robot: chi meglio di un'intelligenza artificiale potrebbe giocare secondo un modello aritmetico o prestabilito?

Intorno al minuto 44 del secondo video, Josh Beckley gioca la sua prima mano da late position, dopo che tutti hanno foldato. Rilancia con K-Q offsuited e ha circa 11 milioni di chip. Il nostro Butteroni, che fin lì ha sempre gettato le carte nel muck, è sul big blind e il suo stack (alla mano numero 10) si è già ridotto a circa 5,1 milioni.

Federico spilla 8-2 e decide di foldare. Dal punto di vista strettamente tecnico nulla da eccepire, lo capisce persino un giocatore iper-amatoriale come me, che ho un grafico delle vincite la cui curva discendente se potesse bucare la Terra farebbe il giro completo e mi cascherebbe in testa dall'alto. Ma quella era la prima occasione in cui Federico avrebbe potuto prendere una posizione netta.

Josh Beckley
Sono Josh Beckley e foldo JJ pre-flop a 4 player left.

L'immagine dell'italiano era già piuttosto chiara e definita: uno suo all-in avrebbe messo in crisi Beckley, a meno che questi non avesse avuto una mano monster. Con qualsiasi mano non fortissima, Beckley avrebbe dovuto rischiare praticamente la metà del suo stack sul raise all-in di un giocatore che non aveva investito volontariamente ancora neppure un singolo gettone nel piatto, prima di quel momento.

Se avesse chiamato e perso, la situazione si sarebbe ribaltata diametralmente: Butteroni sarebbe volato a oltre 10 milioni di chip e Beckley sarebbe scivolato intorno ai 5.

E se anche Beckley avesse chiamato? Nella migliore e statisticamente più probabile delle ipotesi - per gli amanti del poker matematico - cioè che Beckley avesse due overcard (come effettivamente aveva in quello spot), Butteroni se la sarebbe giocata intorno al 32%: non proprio da spacciato, insomma. Dal punto di vista strettamente teorico, mandare la vasca con AJ ed essere chiamati da AK è pure peggio. E poi, come detto, non è certamente scontato che Beckley avrebbe fatto call.

Se Federico avesse giocato quel colpo e avesse vinto, tutti gli avremmo riconosciuto il coraggio di averci provato e la fortuna di esserci riuscito. In caso di esito contrario, questo avrebbe fatto comunque di lui un player coraggioso, ma non fortunato.

Facile parlare col senno di poi, vero, ma Beckley è lo stesso giocatore che, una volta rimasti in 4, ha aperto rilanciando pre-flop con JJ per poi passare sulla three-bet di McKeehen - che questi avesse QQ è un altro conto.

Situazione Unica, Contesto Irripetibile

Nell'epoca moderna, persino il più forte dei giocatori di poker non può aspettarsi di arrivare al tavolo finale del Main Event WSOP più di una volta nella vita (se mai ci arriverà); il back-to-back di Mark Newhouse è la classica eccezione che conferma la regola. Siamo di fronte ad una situazione unica e ad un contesto irripetibile.

Nessuno sa chi sia Brummelhuis a due anni dal suo 7° posto nel 2013, eppure tutti gli appassionati si ricordano sicuramente di Joseph Cheong o di Filippo Candio (non solo noi italiani), anche se sono passati cinque anni. Non sono stati tecnicamente perfetti come magari lo è stato Federico, che ha giocato by the book - come dicono gli americani - ma hanno comunque lasciato la loro impronta nella storia del campionato mondiale di poker, anche se non hanno vinto.

Butteroni non ci ha regalato guizzi memorabili, tentativi di bluff anche ai limiti dell'assurdo, cooler storici o suck-out improponibili. Ha svolto il suo compitino da bravo giocatore di poker modello che pensa ai range, all'EV, alla fold equity. Ma questo non solo non gli ha comunque permesso di andare oltre un 8° posto che economicamente non si distanzia molto da un 9° o da un 7°, ma nemmeno di divertirsi come avrebbe dovuto (e sicuramente meritato).

Caro Federico, probabilmente a noi giornalisti non lo ammetterai mai, neppure quando sarà passata la delusione di un final table anonimo, ma io sono convinto che tra tanti anni, quando cullerai i tuoi nipotini davanti al caminetto, ripenserai a quel weekend di novembre e a quella fanciulla che tanto ti piaceva quand'eri ragazzino, e ripeterai a te stesso: "Chissà come sarebbe andata, se solo ci avessi provato davvero".

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Beto10

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